Manicomio di Volterra
Storie e racconti dall’ex ospedale psichiatrico più grande d’Italia
Anno di fondazione
N° massimo di degenti
Superficie edificata
Superficie totale
Quello che resta oggi del Manicomio di Volterra sono tanti padiglioni: alcuni in disuso e in stato di abbandono, altri facenti parte della struttura del nosocomio di Santa Maria Maddalena.
Nato nei locali dell’Ex convento di San Girolamo concessi alla Congregazione di Carità, grazie a fondi donati fra gli altri dal benefattore volterranno Giuseppe Niccolò Viti, il Manicomio di Volterra operò a partire dal 1881 sotto il nome di l’Ospizio di Mendicità, trasformato poi in Asilo dei Dementi nel 1897, quindi in Frenocomio di San Girolamo nel 1902, ed infine in Ospedale neuropsichiatrico dal 1934, inserito dal 1939 nella rete degli Istituti ospedalieri e di ricovero della città di Volterra. Continua…
Padiglioni e strutture
Padiglioni e strutture dell’area manicomiale
Padiglione Tebaldi
Padiglione Zani
Padiglione Claude Bernard – Horner
Padiglione Mingazzini
Padiglione Morel
Padiglione Golgi
Cucina
Padiglione Darwin
Autorimessa
Padiglione Castiglioni
Padiglione Mascagni
Padiglione Mendel
Padiglione Koch
Padiglione Morgagni
Obitorio
Padiglione Vidoni
Padiglione Spallanzani
Villa Giardino
Padiglione Neurologico
Padiglione Sarteschi
Fornace
Padiglione Canestrini
Falegnameria
Lavanderia
Cimitero di Sanfinocchi
Cimitero
San Girolamo
Casa-torre Toscano
Villa Caggio
Padiglione Morselli
Podere Vile
Villino Flora
L’Olmo
Podere San Lorenzo
Articoli di giornale
La storia attraverso riviste e quotidiani
Testimonianze
raccontate da chi il manicomio lo ha vissuto, direttamente o indirettamente
Persone
Dottori, pazienti, infermieri, artisti ed “altri”: gli abitanti del frenocomio di Volterra
Storia del manicomio di Volterra
Il primo padiglione costruito ex-novo, che, inizialmente chiamato Kraff-Ebing, prese poi il nome dal medico che personalmente si impegnò per lo sviluppo dell’ospedale per alienati, divenendone direttore a partire dal 1900, ovvero Luigi Scabia, fu costruito fra il 1896 e il 1897, nei pressi del Convento di San Girolamo, per accogliere il crescente numero di pazienti.
E proprio a partire dalla Direzione di Scabia nacque l’idea del “Villaggio” e dunque il successivo e continuo ampliamento della struttura, anche grazie al numero dei degenti che andò via via aumentando, da un primo nucleo di 30 malati giunti dal San Niccolò di Siena, ai 200 circa del 1900, fino a numeri ben maggiori, soprattutto grazie agli accordi stipulati fra Scabia e il comune di Porto Maurizio per il trasferimento in terra toscana di vari malati, altrimenti destinati al manicomio di Como.
Già nel primo decennio del Novecento i numeri dei ricoverati si avvicinavano al migliaio.
Cosa rese la struttura del manicomio di Volterra tanto richiesta?
Senza dubbio fu il fatto che la città fosse esente dalla tassa sul pane e sul sale; ciò permise l’abbassamento della retta per i degenti, contribuendo in modo significativo alle richieste di ricovero nella cittadina toscana, più conveniente economicamente rispetto ad altri istituti.
Ciò comportò necessariamente l’adeguamento della struttura alle nuove richieste di capienza; fu sempre sotto la direzione Scabia che, nell’ottica della cura e tramite appunto l’ergoterapia, i pazienti stessi furono impiegati come forza lavoro anche nella costruzione dei nuovi edifici, pronti ad accogliere nuovi malati.
Si deve sempre all’impronta fortemente moderna della gestione di Scabia, quella che si direbbe oggi manageriale, la costruzione della rete elettrica e fognaria, attrezzature sostanziali per l’autonomia e lo sviluppo dell’ospedale, che resero il complesso una sorta di villaggio, per giunta sempre più indipendente e via via ricco di nuovi edifici: panificio, lavanderia, falegnameria, etc., fino a raggiungerne, nel 1974, quattro anni prima con l’avvento della Legge Basaglia e verso la fase di chiusura, un totale di oltre trenta, comprensivi di padiglioni per degenti (venti in totale) e per le varie attività; restano fuori dal novero gli appartamenti del personale al di fuori della Casa Medici e del comprensorio della cittadella-ospedale.
Un altro passaggio significativo avvenne nel 1948 quando, con la direzione del commissario prefettizio Pintor Mameli, resasi necessaria dopo anni di difficile gestione, i padiglioni Bianchi e Chiarugi vennero destinati alla rieducazione dei minori.
A distanza di tempo, pochi anni prima dei venti di cambiamento del ’68, si iniziò a ripensare la psichiatria e la terapia ad essa correlata, in un’ottica non più gerarchica e ben oltre la custodia e la sorveglianza, in un tentativo di riorganizzazione, modernizzazione e sperimentazione organizzative che vide poi il coinvolgimento di artisti nell’operazione “Volterra’73”, che tuttavia non suscitò l’esito sperato.
Con l’entrata in vigore della Legge Basaglia (legge 180/1978) l’ospedale Psichiatrico andò via via dimettendo i pazienti, preparandosi alla chiusura e trasformandosi, per quanto riguarda alcuni edifici, in casa-famiglia per l’accoglienza degli ex degenti, nella prospettiva della riacquisizione dell’autonomia e della conseguente riabilitazione a carattere sociale.
Cosa è rimasto oggi di questa lunga ed intricata vicenda di cura del Manicomio di Volterra?
Memoria, tradizione popolare che si mescola al folklore, edifici in stato di abbandono, alcuni ancora impiegati come casa famiglia sotto la direzione dei servizi sociali, e dal 1 dicembre 2015, a seguito della soppressione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (legge 81/2014) una REMS, acronimo per Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive, più volgarmente conosciuta, in maniera piuttosto sommaria e imprecisa, come “manicomio criminale”, con una capienza di circa 30 detenuti.
Cosa rimane oggi del Manicomio di Volterra?
Oltre gli edifici, ben oltre foto sbiadite e informazioni più o meno dettagliate, un sito web qui, proprio sugli schermi di voi lettori, pronto ad accogliere storie, racconti, vicende, documenti, foto, testimonianze di quanto la vicenda psichiatrica di Volterra fu, nel tentativo di ridare voce a ciò che rischia di perdersi nel tempo e che è non solo storia, non solo memoria, ma vita di alcuni, di molti, fosse anche del territorio di Volterra, parte integrante della sua, della nostra identità.