Madre di quattro figli, nel febbraio 1901 tentò più volte il suicidio, prima tagliandosi la gola con un coltello, poi gettandosi da una finestra e, infine, buttandosi in una cisterna d’acqua.
Ricoverata nelle stanze di osservazione dell’ospedale civile di Volterra con la diagnosi di esaurimento nervoso dovuto al prolungato allattamento, il 19 febbraio fu trasferita nell’Asilo dementi dove fu ammessa con la diagnosi di melanconia.
All’ammissione era tranquilla, ma cupa e chiusa; non rispondeva a nessuna domanda se non, con un cenno affermativo, quando le si chiedeva il suo nome.
Nella regione anteriore del collo presentava una ferita lineare lunga circa cinque centimetri, di cui non dava spiegazione.
Come misura di sicurezza le fu applicata una fascia ai polsi.
Rifiutando i medicinali per bocca, le venivano somministrati sedativi per clistere.
Nei giorni successivi cominciò a dire qualche parola e a chiedere con insistenza dei propri figli; non spiegava, però, le ragioni dei suoi ripetuti tentativi di suicidio.
Andò pian piano riordinandosi e tranquillizzandosi psichicamente e, sebbene depressa, era molto migliorata e raccontava di dispiaceri familiari e litigi col marito.
Era di indole buona e si commuoveva al ricordo dei figli che tanto desiderava rivedere.
Dall’inizio di giugno, però, smise di chiedere dei figli e del marito.
Nonostante non avesse più tentato il suicidio, era sempre sotto sorveglianza speciale. Infatti quando il marito fece sapere di essere disponibile ad assumersi la responsabilità della custodia e del mantenimento della moglie, il direttore Scabia espresse parere contrario, dicendo che la paziente doveva essere costantemente sorvegliata a letto da due infermieri.
La mattina dell’11 agosto alle 3, mentre l’infermiera di guardia stava somministrando medicinali ad un’altra ammalata, la paziente andò in bagno e si impiccò, utilizzando matasse di fili da calze annodate con nodo scorsoio e un gancio che stava sopra l’acquaio.
L’infermiera, avvertita da un’altra ricoverata che la paziente era scesa dal letto, si precipitò e la trovò appesa nello stanzino del bagno.
Fu chiamata immediatamente la suora superiora e gli infermieri della sezione uomini, che allentarono il laccio e le praticarono la respirazione artificiale.
Fu avvertito il direttore Scabia, che ordinò agli infermieri di praticare le trazioni ritmiche della lingua. Queste furono inutilmente continuate anche quando il direttore Scabia raggiunse lo stabilimento.
Al direttore Scabia non rimase, perciò, che constatare il decesso.
Silvia Trovato