Bargellini è particolarmente interessato a quell’uomo silenzioso, nella struttura ospedaliera così temuto per la sua forza che si trasforma in violenza e che gli vale il soprannome di Hulk.
Bargellini non si ferma a questo, va oltre il “residuo manicomiale” e il disturbo ossessivo-compulsivo: acuto osserva e scopre che Franco cammina a ritmo pendolare, accompagnandosi con piccoli oggetti legati insieme e tenuti stretti nelle sue grandi mani: biancheria intima attaccata a contenitori di plastica presi dalle governanti, pezzi di tubi dell’acqua raccolti dalle attrezzature dei giardinieri, calzini rubati ai compagni di stanza, ecc.
E ogni fine settimana, dopo aver fatto visita al fratello, Franco torna con un regalo: molto spesso una prolunga, a volte dei peluche. Oggetti semplici, banali, quotidiani, ma preziosissimi tesori per Bellucci.
Ed è proprio così: esplorando quotidianamente gli edifici e il parco intorno al centro per raccogliere oggetti, spesso abbandonati, che Bargellini riesce a stabilire un contatto con Hulk.
Alla fine guadagna la sua fiducia fornendogli vari oggetti e materiali: è l’inizio di un gioco e di una storia.
A questi oggetti Franco Bellucci dà nuova vita, insieme alla sua: essi diventano immediatamente materiali per nuovi assemblaggi che sostituiscono i precedenti.
Tutto è destinato all’atto creativo, a trasformarsi in un giocattolo del tutto straordinario, stravagante senza dubbio, eppure artistico.
È la costruzione al posto della distruzione, la relazione dopo la costrizione, il silenzio che diventa comunicazione.
Negli ultimi anni la forza del legame invisibile tra questi due uomini ha permesso a Franco Bellucci di apprendere un nuovo linguaggio, quello della rete relazionale in sostituzione della coercizione.
Ormai inserito in un ambiente efficace, privilegiato e protetto per sè, non più “da sè”, Hulk si trasforma in un “maestro legatore”, in una dimensione che gli permette di vivere e sviluppare il suo lavoro, la sua arte.
É così che all’immobilità, allo sfogo di violenza sugli oggetti, al silenzio si sostituiscono fermento creativo, rielaborazione nella cura degli oggetti, comunicazione artistica.
Franco Bellucci ha finalmente trovato il suo linguaggio, riscatto di tanti anni di coercizione; e che tale espressione sia davvero comunicativa ne è prova il lungo viaggio artistico che ne segue.
Esposte nel 2007 fra Firenze e il Belgio, le sue creazioni approdano in Francia e Germania nel 2009, per essere poi incluse nella mostra collettiva Banditi dell’Arte alla Halle Saint Pierre a Parigi nel 2012 e presentate in una mostra personale al MAD musée de Liège nel 2014-2015.
Rappresentati anche alla Maison rouge di Parigi, all’interno mostra Art brut, collection abcd/Bruno Decharme, i suoi giocattoli, pezzi d’arte unici nella loro straordinarietà viaggiano fra l’Italia, la Francia, Madeira, Praga, Bruxelles e Aix en Provence.
E chissà dove ancora arriveranno.
Intanto, il 30 agosto scorso (2020) la forza di Hulk lo ha abbandonato.
Ma i suoi giocattoli, nella stretta, all’apparenza stravagante e inconcepibile dei legami che s’intersecano fra un peluche e un tubo, o un cavallino e un fil di ferro, continuano a tenerci compagnia e parlarci di lui.
E ci dicono che si può andare oltre ciò che è definito, standardizzato, abitudine dell’occhio. Perché è con atti silenziosi e all’apparenza folli che si generano ponti, contatti, legami.
Ecco, è così che il gioco di Franco Bellucci è divenuto una storia.
A volte la vita per trovare riscatto ha bisogno di tempo, fortuna, incontri. O di tutti e tre.
E allora si chiama arte.