In ricordo di Luigi Scabia (1945)
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Data di pubblicazione:13 Ottobre 1945
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Titolo:In ricordo di Luigi Scabia (1945)
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Testata giornalistica:il Porcellino
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Il 20 dell’ottobre 1934, in una grigia giornata, fra lo squallore di un alberguccio cittadino, moriva di crepa-cuore ed in grande miseria, a soli 66 anni Luigi Scabia, colui che a Volterra diede tutta la forza del suo genio folgorante, tutta la luce della sua non comune dottrina, tutte le energie mai esaurite dello spirito e del corpo, tutti i palpiti del Suo cuore generoso, la vita!
È lui che, dal nulla, senza altri mezzi che quelli fornitigli dall’incessante tormento della sua volontà
chiara ed insuperabile, della sua iniziativa ferma e lungimirante, è lui che dal nulla, ideò, costruì, diresse e sviluppò, portando al massimo splendore, il nostro – Grande Spedale Psichiatrico – primo allora in Italia per ampiezza e modernità di impianti, fra i primissimi in Europa per l’originalità dei suoi metodi curativi, unico nella sua concezione ed organizzazione tecnico amministrativo, ineguagliabile nella semplice bellezza della sua veste esteriore.
Pochi uomini ebbero da natura tanta copia di doni come Luigi Scabia, tanta e così perfetta
armonia del corpo e dello spirito, tanta capacità di pensiero, tanta volontà di operare, tanta potenza di tradurre in fatto le idee-forza onde era irrefrenabilmente trascinato all’azione.
È Lui nel «Forse che si, forse che no» il medico pensieroso, audace e soccorrevole, di Isabella Inghirami, lo scienziato dalla fronte alta ed energica ove splende il superbo dinamismo di un cervello possente, latinamente poliedrico, è lui infaticabile rettore della città folle, che tutto vede, ode ogni voce, ed è sempre e dovunque presente per comandare, persuadere, ordinare, quietare, insegnare e spingere avanti.
Avanti sempre, avanti verso il bene, verso il meglio verso la bellezza.
Nel cuore di ogni Volterrano scolpita indelebile la immagine gentile e sorridente di quest’Uomo con l’U maiuscola, di questo Maestro di semplicità e di Vita che dalle scaturigini profonde della sua perfetta umanità.
Fu tratto ad intuizioni scientifiche ed a spontaneità curative che gli crebbero intorno quell’alone di ammirazione, di simpatia, di amore, di gratitudine, l’impressione diffusa di qualche cosa in lui di misterioso, quasi di soprannaturale e nella coscienza popolare, la leggenda del medico-mago che guarisce tutti i mali, che si trova al letto di tutti gli infermi in tutte le ore del giorno e della notte,
infaticabile, disinteressato, beneficente, il santo, l’unico, la bella leggenda che non muore, perché permeata di di verità!
Così ognuno di noi, di coloro che lo amarono più del proprio padre, più del proprio fratello, si sorprende oggi più d’ieri, via via che il tempo allontana il giorno della sua morte, si sorprende nel ricordo nostalgico di due sereni occhi celesti, di una bocca piena di dolcezza, carezzevole e saggia, del gesto energico e paterno di una mano fatata dinanzi alla quale, spesso, la furia del dissennato si acquietava come per incanto, perché egli aveva l’intuito psicologico di tutte le cose create, come S. Francesco d’Assisi, lo spirito cavalleresco ed eroico, l’entusiasmo puro, il coraggio di un primitivo, ereditato forse da un qualche suo lontanissimo antenato, uno di quegli antichi veneziani mezzi mercati o mezzi preti, trafficanti e penitenziari, che il ferreo imperativo di una coscienza religiosa spingeva crociati in Terrasanta, ebbri di Fede!
Alpinista di ogni idealità, di libertá e di giustizia, di elevazione sociale, Egli non esitò a cimentarsi verso le più ardue cime.
Mai sazio di conoscenza, fu palombaro di ogni verità.
L’amore della Patria esercitò come un sacerdozio e la grande guerra lo vide alla testa di ogni opera
ospitaliera ed assistenziale nella nostra Provincia; è rimasto memorabile l’impianto ferroviario che egli immaginò e realizzò con rapidità inusitata, affinché i treni di malati e di feriti che venivano dal fronte, evitando soste in stazione e fastidiosi trasbordi, fossero messi nella possibilità di depositare subito e direttamente il prezioso carico sulla soglia delle cliniche di Pisa; le quali perciò assunsero Italia la píù grande importanza e la Direzione Generale di Sanità Militare, proclamava Luigi Scabia — primo — fra gli organizzatori nel soccorso e nella cura dei nostri combattenti.
L’Ospedale Psichiatrico di Volterra, che ci auguriamo ora finalmente e solennemente intestato al nome del suo creatore, fu semplicemente un capolavoro di scienza, una rivoluzione di tecnica ospitaliera, un autentico miracolo di audacia economica finanziaria, amministrativa.
Luigi Scabia ideò e realizzò questo magnifico complesso temerariamente, superando ostacoli duri e minacciosi, rovesciando opposizioni ostinate, vincendo diffidenze palesi ed occulte che gli furono causa di non poche amarezze e che lo accompagnarono lungo tutto il cammino della sua tremenda Via Crucis, fino al Calvario.
Coloro che in quegli anni, convinti della grandiosità e della straordinaria utilità della concezione Scabiana apertamente la difesero e la fiancheggiarono, potranno narrare episodi belluini di questa implacabile avversione contro l’Uomo che costruiva per il bene del popolo di Volterra, e le polemiche asprissime in cui la pazienza e la fede del Nostro furono messe a durissima prova.
Il successo trionfale dell’Opera, la crescente favorevole accoglienza che numerose ed importanti provincie italiane accordarono all’Istituto affidandogli centinaia e centinaia dei loro alienati: il benessere economico che dal suo rigoglioso sviluppo derivò sempre più al popolo volterrano, costrinsero anche i più ostinati critici, se non al riconoscimento palese della straordinaria benemerenza di Luigi Scabia, ad un silenzio prudente.
È superfluo indugiarci nell’inventario degli immensi vantaggi che la creazione e lo sviluppo del Manicomio apportò alla nostra Città: è doveroso però ricordare che esso ha rappresentato e rappresenta tuttavia la fonte di vita di grandissima parte delle famiglie volterrane ed ha rappresentato, nei periodi non infrequenti della crisi alabastrina, una sicura ancora di salvezza.
Ma a Luigi Scabia non si perdonava la spregiudicata libertà di pensiero e di parola, l’indipendenza assoluta della coscienza, l’entusiasmo del nuovo, l’esuberanza polemica nel libro e nel giornale, nella scienza e nella politica.
E il fascismo che si presentava come un sillabo imponendo prepotentemente obbedienze servili trovò
in L. Scabia un oppositore spontaneo e irriducibile.
La canea che l’evidenza del successo aveva costretto al silenzio, si risvegliò con furia selvaggia e l’Uomo fu circondato, assalito, insidiato, morso.
Quelli che da lui erano stati i più beneficati, quelli che gli dovevano tutto, furono i primi a rivoltarglisi contro, a calunniarne l’opera e le intenzioni, ad abbracciarsi, più ignobili di Giuda, coi filistei in camicia nera, e la rovina, la strage morale e materiale del Giusto fu decretata con il più ripugnante cinismo.
Fu nominato Commissario dell’Ente Manicomiale un omuncolo turpe e vile, mellifluo e feroce, un baciapile osceno, perché privo di ogni spirito cristiano; raccolse intorno a sé la turba dei farisei e senz’altro una campagna di calunnie e di accuse infami ed artificiose infestò la Città.
Volterra fu percorsa da un brivido di ribrezzo ed i cittadini più probi che si levarono protestando furono minacciati di gravi rappresaglie.
Il Senatore Fabio Guidi fu malamente destituito da Podestà, Michelangelo Inghirami, gentiluomo di razza, sempre in armi contro ogni forma di ipocrisia, che bollò con parole roventi a nome di tutti i volterrani onesti e grati la faccia del Commissario aguzzino, fu gratificato di ingiurie volgari e costretto a tacere;
mentre l’On. Dello Sbarba piombava nel Gabinetto dello «Scarpia» Buffarini per urlargli che in suo nome, Il Commissario Palmardita ed il Prefetto stavano assassinando un Galantuomo.
Un console della milizia, alcoolizzato le mani sporche di sangue per l’uccisione di una donna innocente, le tasche ricolme di denaro rubato aveva brutalmente cacciato da S. Girolamo Luigi Scabia e la sua famiglia notificandogli un sudicio libello che osava accusare di profittantismo Colui che dopo avere inondato d’oro, frutto della sua fatica gigantesca, la terra che l’ospitava, scaraventato coi suoi familiari e lo scarso mobilio sul marciapiede, stava morendo di crepacuore e di fame!
Volle essere sepolto nel Campo Comune accanto ai suoi ammalati; Volterra ne copre perennemente la tomba, sacra all’amore inestinguibile di tutto un popolo, con lacrime e fiori.
Inginocchiati ai lati del marmo che chiude la spoglia del Martire vegliano gli Angeli della Riconoscenza della Gloria!