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Marat sbarca a Volterra (1968)

Marat sbarca a Volterra
  • Data di pubblicazione:
    8 Dicembre 1968
  • Titolo:
    Marat sbarca a Volterra (1968)
  • Autore:
    S.S.
  • Testata giornalistica:
    L’Espresso

Marat sbarca a Volterra

Rieti.

« Sono un alcolizzato cronico ricoverato due anni presso l’ospedale psichiatrico di Volterra.

Ho perduto il lavoro, mia moglie e mio figlio.

L’antabuse, il flagil e l’etilox non hanno risolto il mio caso.

Ho paura di uscire dall’ospedale.

Cosa mi aspetterà?

Avevo amici.

Ora si vergognano di me.

Avevo un lavoro ma il mio principale non mi riassumerà perché sono stato ricoverato in “manicomio“.

Anche mio figlio non viene più a trovarmi perché porto il marchio di malato di mente pericoloso a sé e agli altri…».

Lo spettacolo comincia cosi, con questo prologo.

Titolo del dramma: “Gli indifesi” scritto da un medico di Verona, il professor Fiamberti.

La storia è quella di migliaia di persone, malati di mente, medici, ufficiali giudiziari e magistrati, infermieri che vivono rinchiusi negli ospedali psichiatrici.

Ma questa volta sono gli stessi malati che la interpretano.

Matti travestiti da primari, medici, infermieri, da magistrati, e da matti.

Chi pronuncia queste parole di presentazione è Ennio Persico, un uomo ancora giovane completamente guarito, ma, per la società, morto e seppellito.

Dieci malati in palcoscenico e tanti altri, almeno trecento, giù in platea e nei palchi.

Sono i degenti dell’ospedale psichiatrico di Rieti, la città che ha ospitato nelle due scorse settimane la più sconcertante delle rassegne filodrammatiche: la rassegna dei Marat-Sade italiani.

Prima degli “Indifesi” allestito dai malati mentali di Volterra, diretti e accompagnati da un altro bravissimo medico, Gino Biasci, e dall’infermiere psicoterapista Gastone Galvani, sul palcoscenico del teatro Vespasiano di Rieti avevano esordito i malati di Genova con “I cavernicoli” di Saroyan; quelli di Ancona con “Maritiamo la suocera” di Colorno; quelli di Padova con “I rusteghi” (in costume) di Goldoni: quelli di Reggio Emilia con “I casi sono due” di Curcio; quelli di Napoli con “Miseria e nobiltà” di Scarpetta; quelli di Rieti con “Il diamante profeta” di Terron; quelli di Venezia con “Nuvole di passaggio” di Flucco; quelli di Firenze con “I com……promessi sposi” di Zeti.

I malati di Volterra però non hanno scelto un dramma o una commedia di autore classico, ma una storia di ospedali e dementi.

Sono andati a scavare dentro la loro vita e il loro male.

La storia di Fiamberti è una storia senza intrecci, è la storia di tutti i malati e di tutti gli ospedali.

È un episodio illuminante e allucinante sulla vita degli ospedali, che coinvolge medici, magistrati e soprattutto la discussa legge che li governa.

Ma gli attori hanno voluto dilaniarsi in pubblico con la speranza che qualcuno li ascolti e capisca la loro tragedia.

Ad un certo punto della commedia sembra sia il cancelliere che fa l’indagine a dare i numeri invece che il ricoverato.

È uno spettacolo commovente che a volte prende alla gola.

Drammatico e commovente l’interrogatorio del malato vero che fa il matto per finzione scenica.

Questa commedia umana (la storia di un autista innocente che finisce in manicomio) presentata con lucido realismo, non manca di poesia.

Si chiude col suicidio di un uomo che non è riuscito a farsi ricoverare in ospedale (mancanza di posto, burocrazie, intoppi legali, mille motivi assurdi).

C’è una scena molto eloquente fra medici e magistrati che recitano il dramma della loro lotta quotidiana stretti tra le maglie di una legge antiquata e le esigenze e i bisogni dei malati.

Negli ospedali psichiatrici c’è infatti un medico ogni quattrocento degenti, quando ce ne vorrebbero almeno dieci per ogni cento malati.

Chi si aspettava di assistere, giovedì scorso a Rieti, ad un vero “Marat-Sade” è rimasto deluso.

Perché nella commedia il primario (l’ex alcolizzato cronico Ennio Persico) e gli altri attori Nicola Foti, Francesco Armentano, Tarquinio Dell’Amico, Luciano Della Croce, Pietro Mores, Aldo Sbrana, Angela La Placa, Franca Martin, Maria Merenda, Maria Montruccoli e Valentina Valfrè, hanno saputo dare vita alla
storia dell’artista, senza un attimo d’impaccio, a volte con una padronanza di mestiere davvero inaspettata.

Dietro le quinte, durante e dopo la rappresentazione, attori e registi si sono abbracciati, hanno posato per i fotografi, si sono commossi.

Ma era curioso vederli insieme, con le loro piccole rivalità (le stesse delle prime donne di teatro), i loro problemi, le loro speranze.

C’è un’intesa tra loro che si rivela in ogni minimo particolare.

Come gli attori delle altre compagnie che li avevano preceduti, volevano vivere intensamente quella giornata di libertà, in mezzo alla gente sana, in un teatro vero, stringere mani, ricevere fiori e complimenti.

Anche se, negli ospedali, i medici li lasciano liberi di uscire e di discutere tra loro, di riunirsi in assemblea, di curarsi da se stessi.

In disparte, un po’ commosso ma felice, c’era l’economo dell’ospedale di Rieti, il ragionier Tomassetti che con i medici Colarieti, Dionisi, Giuseppini, Lo Grasso, Matteucci, Del Bufalo, Paolocci, Pasquali e Virgili ha organizzato questo utilissimo e originale carosello, di “Marat-Sade”

Mentre in un palco la giuria si preparava ad assegnare i premi, attori e spettatori lasciavano compostamente il teatro per tornare di nuovo tra le loro mura.

S. S.

Marat sbarca a Volterra (1968)