Successo della nostra mostra d’arte allo storico Palazzo dei Priori (1970)
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Anno:
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Data di pubblicazione:1 Settembre 1970
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Testata giornalistica:DIMENSIONE UMANA
Nella sala del Giudice dello storico Palazzo dei Priori di Volterra un gruppo di ospiti del nostro ospedale ha tenuto una mostra d’arte che ha riscosso i più ampi consensi sotto ogni profilo.
Si è trattato della prima « collettiva » di questo tipo, con tutto ciò la critica qualificata, quella cioè composta da pittori e scultori volterrani e da docenti dell’Istituto d’Arte di Volterra, è stata veramente entusiasta
Oltre a ciò, tra molti turisti che l’hanno visitata, è accaduto che un folto gruppo di allievi dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, venuti a Volterra per ammirare la città, hanno speso molto del loro tempo ad analizzare le opere esposte ed il loro interesse è stato tale che hanno chiesto di visitare il Centro Sociale del nostro ospedale per avere una visione chiara di come viene svolta l’attività artistica tra
i ricoverati.
La mostra ha destato in tutti, inoltre, molto interesse perchè a tutti ha riproposto in termini nuovi, in termini umani, il problema della malattia mentale ed a tutti ha fatto porre in risalto come il carattere terapeutico di attività ed iniziative simili tendano a valorizzare ed a risocializzare l’ammalato di mente.
Logicamente tra i molti visitatori (sono stati proprio numerosissimi) vari si son fatti trasportare da pregiudizi incancreniti ed anche ingiusti, perchè, sollevandosi a « terapeuti » (si son sentiti alcuni commenti passando con discrezione tra di loro) guardavano le opere esposte al solo scopo di rilevarci la pazzia, o addirittura a diagnosticarne il tipo.
Certo sarebbe stato curioso aver potuto fare il confronto con i loro commenti se la mostra si fosse svolta non sotto l’etichetta dell’ospedale psichiatrico!
Comunque questa mostra ha avuto anche un altro tipo di successo, quello delle vendite.
Erano, infatti, esposti 52 quadri e 72 lavori in terra cotta, dei quali ne sono stati venduti quasi la metà.
Il risultato però forse più positivo di ogni altro è che i 13 artisti espositori hanno ricevuto una loro personale particolare affermazione, hanno potuto maggiormente caricarsi d’entusiasmo per continuare in questa attività e ne hanno stimolati molti altri.
Ecco i nomi degli espositori (in ordine alfabetico): Umberto Cangioli, Francesco Capano, Adelardo Ciummei, Tarquinio Dell’Amico, Marcello Fedi, Angelo Gatto, Giovanna Ginata, Angela La Placa, Ivano Liberati, Anna Maria Merenda, Ilvo Montefiori, Pietro Mores, Marisa Re.
MORES PIETRO: durante le sua degenza in O. P. aveva realizzato alcuni oggetti in terracotta che furono venduti alla Mostra fatta alla fine di agosto, per L. 5.500.
Il Sig. Mores ha preferito non ritirare la somma, destinandola alle attività del Centro Sociale Ricoverati. Grazie di cuore
Intervista con gli espositori
Il Comitato di Redazione, insieme a ricoverati, assistenti sociali e medici, ha intervistato alcuni artisti che recentemente hanno esposto alla mostra tenutasi a Palazzo dei Priori.
Questo è uno stralcio dell’intervista preso dal registratore tale e quale:
Intervistatore: Quali sono le sue impressioni sulla mostra?
Montefiori: La mostra è stata bella.
Sono rimasto soddisfatto.
Mi ha sollevato, m’ha fatto venire anche più voglia di lavorare.
Int.: Ha avuto queste soddisfazioni attraverso il centro sociale: come lo vede, gli è utile?
Montefiori: Mi è utile e necessario.
Int.: Faceva già lo scultore prima di venire in questo ospedale?
Montefiori: Non avevo mai fatto nulla fino a quando sono venuto qui.
Facevo il tornitore meccanico.
Ho cominciato a fare le statuine con la mollica di pane in corsia.
Int.: Cosa fece per prima cosa?
Montefiori: Degli elefanti, delle donne, dei leoni.
Int: Sempre con la mollica di pane?
Montefiori: Si.
Quando ero in reparto mi venivano per la testa queste immagini e le facevo.
Prendevo un pezzetto di midolla di pane e poi la lavoravo per due, tre ore; la si poteva lavorare come volevo.
Int.: Che differenza prova tra fare il tornitore e l’artista?
Montefiori: Trovo un diverso amore nel fare le cose che faccio adesso.
Prima di prendere la mota in mano mi sento già quello che deve venire.
Ce l’ho nella testa.
Int.: Perchè è venuto in ospedale psichiatrico?
Montefiori: Perchè bevevo.
Adesso non bevo più da anni.
Int: Come è successo che ha smesso di bere?
Montefiori: Ho smesso di bere di mia volontà.
Int.: Vede un rapporto fra il fatto che ha smesso di bere e il nuovo programma di vita che ha realizzato attraverso un’attività artistica? Tra l’altro è noto che lei ha anche un legame sentimentale con una ragazza: non vede un rapporto tra questi fatti e l’aver smesso di bere?
Montefiori: Ho smesso di bere con la mia forza, poi sentendo che stavo meglio, non ho più bevuto.
Non vedo un legame fra lo smettere di bere e l’attività artistica.
Da quando sono qua dentro mi sento più sano di prima: fuori non sentivo queste cose, prima non ci pensavo nemmeno.
Mi sono venute per la tranquillità e per il molto tempo a disposizione.
Prima lavoravo a Spezia in Arsenale, ma avevo cominciato a bere nella guerra, nel ’42, sotto le armi e col timore di rimanere ucciso.
Int.: Nell’officina non c’era questo pericolo, perchè non smise?
Montefiori: Ho smesso qui perché vedevo persone che erano meglio di quelle di fuori.
Int.: Perché preferisce sempre gli stessi animali?
Montefiori: Sto preparando un rinoceronte e un ippopotamo e me li sento nella testa.
Int.: Ha visto la chiesa di S. Girolamo e le pitture e le sculture che ci sono?
Montefiori: Tutte le domeniche ci vado e squadro tutte le cose.
Ma a Volterra, a vedere le chiese e i musei non ci sono mai stato.
Int: Ho visto spesso nelle sue sculture degli animali uno sopra l’altro: cosa vuole esprimere?
Montefiori: La fantasia che ci metto dentro.
Int.: È più importante fare la creta o il tornitore per lei?
Montefiori: La creta è la cosa più bella che ci sia.
Int.: Tarquinio, ogni volta che entri qui dici: voglio riprendere a dipingere.
Tarquinio: Si, mi piace la pittura e pitturando è un’evasione dalle cose che si fanno tutti i giorni.
Int.: Cosa vorresti che facesse il centro sociale?
Tarquinio: Per me vorrei che fosse possibile dividere il lavoro con l’attività del centro sociale.
Int.: Hai mai dipinto quand’eri a casa?
Tarquinio: Rarissime volte.
Avrò fatto due o tre quadretti in tutta la mia vita.
Ho cominciato perchè c’erano i mezzi, le possibilità e i primi giorni non sarei andato nemmeno a mangiare, pur di dipingere.
Avrei voluto andare nei boschi, in mezzo alla natura col cavalletto.
Int.: Come mai, secondo te, sei venuto all’ospedale psichiatrico?
Tarquinio: Penso per troppo strapazzo, per la vita sregolata che facevo.
Lavoravo come pavimentista, stavo sempre in mezzo alla mota da mane a sera.
In più facevo ore di pesca subacqua.
Int.: Che conseguenze ha avuto per te l’attività di pittura che hai iniziato qui?
Tarquinio: Dipingendo si fa il lavoro più volentieri, ci si guadagna, è uno svago e una soddisfazione.
Int.: Fedi invece ha un passato artistico.
Fedi: Sì, sono nato artista e per varie ragioni non ho potuto sfogare tutta l’arte che mi sento addosso.
Scrivere, dipingere, recitare è la parte più importante della mia vita: tutte cose che quando ero a casa facevo di notte.
Qui, finalmente, lavoro di giorno.
A casa invece la mattina ero stanco, perchè recitavo la sera e durante il giorno dovevo mantenere la famiglia.
Ho recitato in grandi teatri: soddisfazioni non comuni come recitare Pirandello nell’aula magna dell’università di Pisa
Int.: Alla mostra ho visto un tale che commentando le vostre opere diceva che ci vedeva « la pazzia ».
Cosa ne pensate?
Fedi: Qualcun altro, che vende i quadri a cinquantamila lire l’uno, esprime veramente la pazzia.
Ma Montefiori esprime tutt’altro che la pazzia.
Int.: I commenti sono stati molti.
Principalmente la gente diceva che dare all’ammalato la possibilità di esprimersi era positivo.
Ma voi pensate che in questa mostra la parola ammalato potesse dar luogo ad un equivoco?
Fedi: No, non è equivoca.
Int.: Ginata, che ne dice della mostra?
Ginata: Non ci sono stata, ma sono contenta che i quadri siano stati venduti.
Merenda: Neanche io sono stata alla mostra.
Avevo fatto qualche quadro, che sono stati apprezzati, ma non venduti.
Int.: Risulta invece che ha venduto un quadro per quattromila lire.
Ginata: Non mi va di dipingere in reparto: le altre malate mi danno noia.
Non è ambiente che permetta quella data cultura.
Int.: Se avesse in reparto una stanza tranquilla lavorerebbe volentieri?
Ginata: Si.
Liberati: Quando ero a scuola al mio paese la pittura mi è sempre garbata e mi garba anche in reparto.
Cangioli: lo non avevo mai pitturato.
Fare queste pitture mi calma e mi piace.
Ho un sentimento speciale per il colore.
Un tempo invece buttavo via le pitture di mia sorella: avevo allora una certa avversione per la pittura.
Int.: Lo farebbe ancora?
Cangioli: Chissà!
Il successo di qualcuno di noi è il successo di tutti, quindi ci rallegriamo profondamente con tutti coloro che, con il loro impegno, con il loro lavoro, con la loro abilità, progrediscono dando inoltre entusiasmo ed incoraggiamento a tutti gli altri.