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Macchinario utilizzato per l’elettroshock

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Elettroshock: la terapia elettroconvusionante

L’elettroshock, o elettrochoc, noto anche come terapia elettroconvulsivante (TEC), rappresenta una pratica terapeutica controversa utilizzata in psichiatria. Essa si basa sull’induzione di convulsioni nel paziente mediante il passaggio di una leggera corrente elettrica attraverso il cervello.

Negli anni ’30, Ugo Cerletti e Lucio Bini, due neurologi italiani, introdussero questa tecnica, gettando le basi per il suo utilizzo. Tuttavia, fino ad oggi, l’effettiva efficacia e l’opportunità di questa terapia rimangono ampiamente dibattute.

Sebbene alcuni pazienti affetti da depressione cronica grave o di tipo catatonico possano sperimentare miglioramenti dopo il trattamento, molti altri possono subire effetti indesiderati. Inoltre, l’elettroshock porta con sé una reputazione negativa, sia a causa degli abusi commessi in passato, sia per la sua rappresentazione distorta nel mondo cinematografico e nella narrativa.

Nonostante il suo utilizzo attuale sia limitato e riservato solo a casi selezionati in cui è stata dimostrata un’effettiva utilità clinica, l’elettroshock viene ancora impiegato, seppur raramente. Tuttavia, prima della procedura, è necessario somministrare anestetici e rilassanti muscolari per controllare le convulsioni e minimizzare i rischi per il paziente.

Storia dell’elettroshock

L’elettroshock, noto come ECT (Electroconvulsive Therapy), ha origine in Italia nel 1938 quando il medico italiano Ugo Cerletti ha scoperto questa forma di terapia come un’alternativa più economica rispetto all’uso di metrazolo o insulina per indurre convulsioni controllate nei pazienti affetti da disturbi neuropsichiatrici.

La concezione di utilizzare l’elettricità come strumento terapeutico derivò dall’osservazione di Cerletti riguardo a maiali che venivano sottoposti a anestesia mediante una scarica elettrica prima di essere condotti al macello.

Successivamente a questa osservazione, Cerletti formulò l’ipotesi che la stimolazione elettrica potesse essere impiegata per indurre convulsioni controllate negli esseri umani, al fine di ottenere benefici terapeutici.

Cerletti e il suo collega Lucio Bini intrapresero quindi sperimentazioni sull’ECT su pazienti affetti da varie condizioni neuropsichiatriche, come la schizofrenia e la depressione grave. La procedura consisteva nell’applicazione di una corrente elettrica attraverso elettrodi posizionati sul cuoio capelluto del paziente, al fine di provocare una crisi convulsiva di breve durata.

Le terapie convulsivanti o da shock, tra cui l’ECT si distingue come l’approccio più innovativo, segnarono l’inizio dell’era dei trattamenti somatici moderni e dell’approccio biologico come modello esplicativo dell’eziologia delle malattie psichiatriche, in contrasto con le concezioni psicologiche sviluppate nella psicoanalisi.

All’inizio del XX secolo, il medico austriaco Julius Wagner-Jauregg introdusse delle terapie da shock in psichiatria, con l’utilizzo della piretoterapia (induzione di febbre transitoria e ripetuta attraverso mezzi di diversa natura) e della malarioterapia (induzione di accessi febbrili mediante inoculazione di ceppi malarici) come trattamenti terapeutici.

Il neurologo ucraino Manfred Sakel, nel 1933, valorizzò le proprietà convulsivanti del coma ipoglicemico indotto dall’insulina, osservando un miglioramento stabile nei pazienti schizofrenici sottoposti a trattamento ripetuto con shock insulinico.

L.M. von Meduna, basandosi sulle osservazioni secondo cui la schizofrenia sembrava esercitare un effetto protettivo nei confronti dell’epilessia e sui dati ottenuti da oltre 6000 pazienti schizofrenici, tra cui solo 20 avevano avuto epilessia, ipotizzò l’esistenza di un’antagonismo biologico tra le due condizioni morbose. Egli introdusse quindi come sostanze adatte a indurre le convulsioni l’olio di canfora nel 1934 e successivamente il cardiazol nel 1936, ottenendo buoni risultati nella cura dei pazienti schizofrenici. Durante questi anni, furono sperimentate molte altre sostanze capaci di indurre convulsioni, tra cui il bromuro di acetilcolina, proposto nel 1937 dall’italiano A.M. Fiamberti.

Sostenuto da queste suggestioni teoriche, U. Cerletti, con la collaborazione di L. Bini, sperimentò l’uso della corrente elettrica per indurre convulsioni, inizialmente su cani. Dopo aver confrontato gli effetti dell’insulina, del cardiazol e della corrente elettrica, si concluse che quest’ultima era il mezzo più inerte e sicuro, evitando i rischi del coma insulinico e le esperienze angoscianti e dolorose del cardiazol, che per questo motivo fu in gran parte abbandonato, insieme ad altri mediatori utilizzati in precedenza. Questo nuovo metodo rappresentò un significativo passo avanti nelle terapie convulsivanti, grazie alla sua flessibilità che ha permesso progressivi miglioramenti tecnici nel corso del tempo.

Nel 1937, al 1° Congresso di psichiatria a Muensingen, in Svizzera, Bini presentò i primi risultati e coniò il termine “elettroshock-terapia”. Una volta confermata l’affidabilità della tecnica, la terapia elettroconvulsivante fu rapidamente accolta con entusiasmo dai clinici di tutto il mondo e si diffuse globalmente.

Un anno dopo la presentazione dei risultati presso l’Accademia Medica di Roma nel 1938, l’ECT varcò i confini europei e fu ufficialmente ammessa negli Stati Uniti.

Elettroshock