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NOF4 – Fernando “Oreste” Nannetti

  • NOME:

    Fernando

  • COGNOME:

    Nannetti

  • ALIAS:

    NOF4, Nanof, Oreste, Colonnello astrale

  • DATA DI NASCITA:

    3/10/1927

  • LUOGO DI NASCITA:

    Roma – clinica Sant’Anna

  • MADRE:

    Concetta Nannetti

  • PADRE:

    Ignoto

  • DATA DI MORTE:

    24/1/1994

  • LUOGO DI MORTE:

    Volterra

  • LUOGO DI SEPOLTURA:

    Cimitero comunale di Volterra

È il 1958 quando al Ferri, padiglione giudiziario inaugurato nel ’33 come sezione criminale del Manicomio di Volterra, arriva Fernando Nannetti, alias NOF4, un paziente che ha lasciato traccia indelebile della sua presenza al Manicomio di Volterra e la cui vita a partire da quell’anno si radicherà sempre più nel territorio volterrano.

Ma chi era NOF4?

All’anagrafe Fernando Nannetti, nasce il 3 ottobre 1927, alle 23.40, a Roma, nella clinica Sant’Anna, da padre ignoto e da Concetta Nannetti, da cui prende il cognome.  Il secondo nome, Oreste, a quanto pare, se l’assegnerà autonomamente, ma non sarà questo l’unico frutto della sua creatività: lo sanno bene i muri del Ferri, che di lui parlano.

NOF4 è l’acronimo per Nannetti Oreste Fernando, 4 potrebbe richiamare, nella fantasia creativa dello stesso, il fatto che sia il quarto di quattro figli, fra fratelli e sorelle, tutti nella realtà inesistenti, eppure fortemente presenti nella sua mente. Secondo un’altra linea interpretativa invece, senza dubbio maggiormente concreta, 4 è il numero che lo lega a Volterra, per l’assegnazione al padiglione Ferri: la sua matricola, il suo identificativo.

Fatto sta che dietro questi segni si cela un mondo, quello di un uomo che nella sua lunga permanenza al Manicomio di Volterra ha provato a lasciare traccia di sé.

Silenzioso, introverso, per molti oggi un artista, un genio dell’Art brut, ma, a cavallo fra anni ’30-’50 del secolo scorso un poveraccio, un demente poi, quando non un malato mentale pericoloso, o, per definizione medica, semplicemente uno schizofrenico. Tutto questo è stato Fernando Oreste Nannetti, ma sicuramente oltre questo molto di più.

Fernando Nannetti prima dell’arrivo a Volterra.

Non deve aver vissuto una vita facile: nato senza una figura paterna di riferimento, inizia a conoscere la realtà degli istituti presto, a 7 anni, nel 1934, quando viene prima affidato ad un’istituto di carità per minori, e successivamente trasferito al Forlanini di Roma a causa della spondilite, un’infiammazione dello scheletro vertebrale.

Come si sia consumata la sua adolescenza e giovinezza non è dato sapere: forse fra i limiti dell’istituto o fra le borgate, in cerca di un riscatto o di una normalità? Sono anni non facili per l’Italia: la seconda guerra mondiale, la guerra civile, la non semplice ricostruzione. Tutto questo anche Oreste Fernando Nannetti probabilmente attraversa, non sappiamo però in che modo, né precisamente dove. Sappiamo solo che consegue la licenza elementare, per alcuni lavora al Vittoriano, per altri come elettricista, finanche si presume abbia fatto da aiuto al futurista Severini.


Nessuna prova: tante idee, magari alcuni cenni dello stesso, ma niente ad oggi di certo. Parte di questa sua storia di vita romana è perduta.


Di lui non abbiamo notizie fino al 1948, quando, alla soglia dei 21 anni, è denunciato per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale: ne consegue, il 29 settembre dello stesso anno, l’ assoluzione per “vizio di mente”, e la detenzione nell’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà di Roma, fino al 1958, anno del trasferimento a Volterra, destinato alla sezione giudiziaria.

Fernando Nannetti a Volterra

Ecco che a 31 anni, Fernando Nannetti arriva al Ferri per scontare una pena di due anni; infatti nel 1961 sarà trasferito fra i “pericolosi” dello Charcot, per tornare al Ferri alla fine degli anni ’60, ormai divenuto padiglione ex-giudiziario, essendo esaurita la convenzione con il Ministero di Grazia e Giustizia.

Ma cosa succede dopo l’entrata in vigore della Legge Basaglia?

Nannetti è solo, non ha parenti da cui tornare: del resto buona parte della sua vita l’ha trascorsa fra istituti, ospedali, detenzione psichiatrica e nessun parente è mai andato a fargli visita, eccezion fatta per i suoi congiunti mentali (Pio XIII, Alberto la scimmia Corazzi, Amedeo di Savoia, i tre fra fratelli e sorelle, etc).

E dunque rimane a Volterra, con una pensione del comune di Roma, presso l’Istituto Bianchi, fino al 24 novembre 1994, giorno della sua morte.

Sempre a Volterra è sepolto, nel cimitero comunale e non, come erroneamente si tramanda, in quello di Sanfinocchi, riservato ai degenti del Manicomio di Volterra e dunque non più in uso dopo il 1978.

Cosa ci lascia

Il giovane romano “loquace”, “chiassoso”, con la “voce alta”, una volta arrivato a Volterra, lascia spazio ad un adulto taciturno, forse sfuggente, chiuso in un mondo tutto suo, che trova sfogo nella scrittura, nel disperato bisogno di definire la propria esistenza, darsi voce, esigere “dignità“.

E dunque si attrezza: con la fibbia metallica del panciotto della sua divisa inizia a dialogare con il muro del Ferri, suo interlocutore privilegiato, compagno di un viaggio che dura ben oltre dieci anni.

E ci lascia, nei limiti dei danni dell’incuria, un muro intriso di scritte, disegni, un graffito che occupava in origine 180 x 2 metri, un messaggio inciso con pazienza, dedizione, in un silenzio che brulicava di parole ed emozioni.

È quella di NOF4 “una storia sconnessa e misteriosa”, così la definisce Antonio Tabucchi in un articolo apparso sull’Espresso nel 1986, per celebrare la pubblicazione del libro che ne ricalca l’opera (“N.O.F. 4 Il Libro della Vita“).

La scrittura di NOF4

Realizzata nelle ore d’aria, due al giorno, quando il tempo lo permetteva, e grazie all’indulgenza degli infermieri che lo lasciano lavorare perché non “dà noia a nessuno”, la scrittura di NOF4 lungo il muro del Ferri è maiuscola, arcuata, ricorda i caratteri etruschi, e per tutelare la propria privacy è bustrofedica, in scriptio continua, non armonica, pronta a piegarsi per seguire la linea delle teste dei pazienti seduti sulla panchina appoggiata al muro: con perizia continua il suo lavoro, armonizza l’ostacolo, indefesso procede il suo colloquio col muro, la sua descrizione di sé, del suo mondo.

È preciso Oreste Fernando Nannetti: il muro è imponente, e come ogni artista che si rispetti occorre delineare lo spazio espressivo: traccia un rettangolo, ovvero si dà l’impaginazione, che poi riempie con le parole, i segni, le raffigurazioni umane o i disegni geometrici, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

La scrittura è memoria anche del passato di NOF4, ne sono traccia le inflessioni dialettali, ma si apre anche alla descrizione di sé come “Astronautico Ingegnere minerario del sistema mentale spazio temporale”, “spinaceo e col naso a y” (caratteristiche somatiche che condivide con i suoi parenti, quelli frutto dell’invenzione mentale), nonché alle considerazioni sulle condizioni dei pazienti del Manicomio di Volterra:

10% deceduti per percosse magnetico-catodiche, 40% per malattie trasmesse, 50% per odio, mancanza di amore e affetto”.

La pubblicazione

La cura, l’attenzione, forse è questo che cerca disperatamente nel suo silenzio vivo di parole “in collegamento” col muro del Ferri il nostro Oreste Fernando Nannetti: e la incontra: non solo nella terapia, ma soprattutto, man mano che procede nel suo lavoro, nella figura di Aldo Trafeli, uno degli infermieri del padiglione, colui a cui si deve la “riabilitazione” di NOF4.

Trafeli osserva, cerca di entrare in contatto, e alla fine decifra: è a lui, e allo scultore Mino Trafeli che si deve il grande lavoro che porta alla pubblicazione dell’opera di NOF4 nel 1985, per iniziativa dell’Usl 15 di Volterra.

Ne consegue l’interesse da parte dell’Istituto di linguistica computazionale di Pisa, di Antonio Tabucchi poi, le cui parole, sembra, abbia particolarmente gradito lo schivo NOF4.

La pubblicazione poi potrebbe fruttare un’ingente quantità di denaro al Nannetti che però rifiuta: non gli interessano i soldi, a lui interessa la dignità, e il suo “monumento” è quello di pietra, su al Ferri.

Un legame indissolubile, questo: Nannetti torna spesso al Ferri, quando ormai il cancello per lui si è da tempo aperto, quanto è ormai libero, per continuare la sua opera, il suo “monumento“.

Grazie al suo straordinario potere telepatico varca i confini della Toscana, dell’Italia: a lui si interessa anche la Svizzera: il suo graffito è considerato oggi un capolavoro e come tale inserito fra la collezione del museo di Art Brut di Losanna.

E se il muro del Ferri, oggi in stato di abbandono, rischia di disperdere la voce di Oreste Fernando Nanetti, è grazie ad Andrea Trafeli, figlio di Aldo, e all’associazione “Inclusione graffio e parola onlus” che se ne continua a tramandare memoria, attraverso iniziative a vario titolo, in un continuo battersi perché questa storia non smetta di esser raccontata.

Ma chi era in sostanza NOF4?

Potremmo dirlo con le sue parole: un “materialista e spiritualista”, una “farfalla libera”, uno “in collegamento col Sistema Telepatico”, “Nannettolicus Meccanicus santo con cellula Fotoelettrica”.

O più semplicemente, con le nostre:

Uno come tanti “diversi”, cui la sorte ha giocato brutti tiri, una vita come tante fuori da agi e tenerezze, una vita sul confine fra dentro e fuori, fra gli istituti e la vita, quella vera, un’esistenza nella mente, talvolta nel delirio, come fuga o riscatto da una realtà opprimente…

Soprattutto Nannetti è stato uno come noi, nel suo disperato bisogno di comunicare il suo esistere.

A suo modo. Coi suoi mezzi. Nonostante le contingenze.

Senza dubbio ci  è riuscito. Ma a che prezzo? Quello di una vita.

Che di sicuro non gli è bastata.

Una rara sequenza video che ritrae NOF4

estratto da L’osservatorio nucleare del signor Nanof  di Paolo Rosa del 1985 – cortometraggio 60’