Volterra: mostra sull’ospedale psichiatrico (1980)
Quando i «matti» venivano curati dietro le inferriate
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Anno:
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Data di pubblicazione:15 Giugno 1980
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Testata giornalistica:L’Unità
Rimarrà aperta nella chiesa di San Pietro fino alla metà di settembre
VOLTERRA — Quando nel manicomio c’erano anche strumenti di tortura. Non è passato poi molto tempo.
Oggi quegli strumenti sono diventati oggetto di una mostra allestita a Volterra nella chiesa di San Pietro.
L’iniziativa, che ha lo scopo di ripercorrere l’esperienza della deistituzionalizzazione dell’assistenza psichiatrica di questo ospedale toscano, è stata organizzata dall’architetto Mino Trafeli con la collaborazione del fotografo Pier Nello Mannoni [Manoni n.d.r.].
Subito all’ingresso sono esposte le immagini del vecchio manicomio, com’era prima del 1972, quando furono abbattuti i pesanti cancelli in ferro che chiudevano l’ospedale dei matti.
La storia di questa «tragedia dei diversi» viene rievocata con pannelli, gigantografie, audiovisivi, plastici, pubblicazioni.
Il presidente dell’ospedale Renzo Verghianelli [Verdianelli n.d.r.] ed il direttore sanitario, Carmelo Pellicanò che più di ogni altro ha lottato per l’apertura dell’istituzione, hanno fornito i dati salienti: dei 5000 ricoverati del 1939 (che salirono quasi a 6000 nel dopoguerra) rimangono oggi dentro il manicomio 532 persone.
Oltre questa cifra non si potrà scendere fino a quando la riforma sanitaria non avrà creato strutture adeguate nel territorio.
Qui non si è seguita la linea delle «dimissioni selvaggie» [selvagge n.d.r.] ma si è preferito la lunga strada del lavoro dentro le istituzioni.
La stessa struttura manicomiale è stata riciclata: dei 400.000 metri cubi di edifici, 55.000 sono stati ristrutturati per l’ospedale civile e case famiglia dove trovano sistemazione 105 ex ricoverati.
L’azienda agraria, dove prima lavoravano senza compenso i degenti, ora è sotto la gestione della Comunità montana: sui 230.000 ettari lavorano gli ex internati, divenuti finalmente normali lavoratori.