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Ti autorizzo a uccidermi se io dovessi tradirti (1952)

Con questa singolare dichiarazione della moglie un uomo è finito in Assise accusato di tentato uxoricidio – Ma al processo la cosa non è risultata vera: e l’imputato s’è buscato 7 anni

Ti autorizzo a uccidermi se io dovessi tradirti
  • Data di pubblicazione:
    4 Maggio 1952
  • Titolo:
    Ti autorizzo a uccidermi se io dovessi tradirti (1952)
  • Autore:
    E.S.
  • Testata giornalistica:
    La Stampa

Massa Carrara, sabato sera. (e. s.)

La causa Costa, che la Corte d’Assise di Massa ha trattato in due diverse sedute, la prima il 23 aprile scorso, la seconda ieri l’altro, può essere definita con le stesse parole dell’avv. Nori, rappresentante della Parte civile: «La causa del contabile della gelosia ».

Egidio Costa il 12 gennaio 1950, dopo che due giorni prima era avvenuto un ennesimo litigio con la moglie Daria Marietti, mentre la donna si chinava sul lavandino par lavarsi la faccia, tratta di tasca una rivoltella, sparava un colpo alla nuca della compagna che si abbatté in un lago ai sangue.

Quindi il Costa uscì di casa, dopo essersi impossessato di un portafogli nel quale, oltre a qualche migliaio di lire, si trovava anche un foglio di carta bollata sul quale era stata scritta una frase di questo tenore: «Io sottoscritta Mariotti Daria autorizzo mio marito ad uccidermi se dovessi tradirlo»; con quel foglio, si presentò al maresciallo dei carabinieri di Avenza dicendo: «Ho ucciso mia moglie perché mi tradiva. Ecco la sua dichiarazione».

La donna, intanto, veniva soccorsa da alcuni vicini e trasportata all’ospedale, dove rimase in pericolo di vita per alcuni mesi.

Guarì ma subì delle minorazioni permanenti alla vista e ai centri nervosi.

Nel suo interrogatorio l’imputato, che una perizia psichiatrica redatta dal dott. Mariani, vice direttore dell’Ospedale psichiatrico di Volterra, descrive come tipo od orientamento schizofrenico, ha raccontato come, tornato dall’Africa nel 1945, dopo dieci anni di vita militare, sposò dopo soli tre mesi di fidanzamento la Mariotti.

«I primi mesi tutto andò bene in casa nostra — continua Il Costa — ma nel maggio del 1947, una sera che tornammo tardi dal cinema, mia moglie uscì con un pretesto. Poiché tardava, mi affacciai sulle scale e nell’ombra la vidi abbracciata ad un uomo che, al rumore che feci, si staccò da lei scomparendo. Il giorno dopo chiesi spiegazione alla moglie.

Mi confessò di essere stata con un uomo, ma non volle dirmi il suo nome.

Allora presi un foglio di carta, che per caso era in bollo, e su quello mia moglie scrisse la frase con la quale mi autorizzava ad ucciderla se mi avesse ancora tradito.

ll 18 gennaio 1950, dopo che ero rimasto fuori casa due giorni, venutami ad aprire, la moglie mi investi con epiteti ingiuriosi.

Non ci vidi più: presi una pistola e le sparai.

Non avevo intenzione di ucciderla, volevo soltanto farla star zitta».

I molti testi interrogati, tra i quali la sorella del Costa, hanno invece dichiarato che la Mariotti conduceva una vita illibata e che mai aveva dato motivo ai marito di dubitare della sua onestà.

L’altra mattina si è avuto l’atteso confronto tra la moglie, che trovasi attualmente presso il Gran Hotel Pestalozzi di Lugano dove lavora come cameriera, e il Costa.

La donna ha raccontato la sua vita coniugale: una commovente storia che ha fatto versare più di una lagrima al numeroso pubblico presente.

Essa ha escluso nel modo più assoluto di avere scritto la famosa autorizzazione.

L’avv. Oreste Nori, della Parte Civile ha diffusamente esaminata la personalità morale e psicologica del Costa concludendo:

«Egli ha sparato perché era geloso.

Ma di quale gelosia?

Non di quella gelosia che ha dato al mondo capolavori come l’Otello.

La sua era una gelosia di egoismo, non di amore.

E quando ha sparato era pienamente capace di intendere e di volere. Io vi invito però ad accordargli il vizio parziale di mente perché è soltanto in questo modo che il Costa può essere liberato dalla gravissima imputazione della premeditazione».

Anche il P. M. dott. Amoroso, ha tracciato un quadro molto realistico della personalità del Costa, descrivendolo come un maniaco della proprietà, e concludendo col chiedere la sua condanna a 6 anni e 6 mesi di reclusione, escludendo la premeditazione.

L’avv. Baratta della difesa ha invece sostenuto la tesi della totale infermità di mente del suo raccomandato.

«Costa Egidio — egli ha detto — è un vinto.

Prima di essere un persecutore egli è un perseguitato: il persecutore di se stesso ».

Secondo la difesa la famosa «autorizzazione» sarebbe stata scritta dalla Mariotti, proprio dopo che il marito l’aveva trovata a colloquio con il suo amante.

Alla fine la Corte ha condannato il Costa, riconosciuto colpevole dei reati ascrittigli, a 7 anni e 4 mesi di reclusione, 20 giorni di arresto, lire 4 mila di multa, al pagamento delle spese processuali e dei danni da liquidarsi in separata sede alla parte lesa, al pagamento di lire 60.000 per spese onorari di costituzione di Parte Civile.

A pena espiata il Costa sarà inoltre ricoverato in una casa di cura per un periodo non inferIore ad un anno.

L’avvocato difensore ha dichiarato che ricorrerà in appello.

Ti autorizzo a uccidermi se io dovessi tradirti (1952)