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Dalla cura delle anime alla cura della mente: due parole sulla storia di San Girolamo al Velloso (dal medioevo al XX secolo) – di Andrea Ribechini

Dalla cura delle anime alla cura della mente: due parole sulla storia di San Girolamo al Velloso (dal medioevo al XX secolo)

L’evento volterrano più importante del XX secolo, come scriveva Lelio Lagorio nel suo “Il lungo Cammino di Volterra“, fu la nascita dell’ospedale psichiatrico.

È giusto puntualizzare come la prima pietra del frenocomio venne posizionata intorno agli anni Ottanta dell’Ottocento e che, con il trascorrere del tempo, si fosse ampliato sino a raggiungere l’aspetto che noi tutti oggi conosciamo.

Il contributo più importante arrivò attraverso la gestione del Dott. Luigi Scabia che in trentaquattro anni riuscì nell’intento di dotare alla cittadinanza volterrana una tipologia di ospedale psichiatrico mai vista prima di allora, organizzata mediante un sistema di edifici dislocati che, a loro volta, formavano una sorta di città ospedaliera (e, di conseguenza, una specie di città nella città).

Adesso, applicando un ragionamento archeologico (nel senso metaforico del termine quale quello dello scavo) nei confronti di questa vasta area volterrana, viene da chiedersi quante vicende siano avvenute o quante vite siano state vissute nell’attuale zona dell’ospedale psichiatrico.

Proprio per il significato stesso del “fare storia” viene, quindi, da chiedersi una banale e, al contempo, mirata domanda: “cosa vi era prima del manicomio?”.

Una possibile risposta può essere individuata con lo studio del territorio mediante un’analisi di ciò che, in realtà, è sempre stata lì, a godersi la scena come una spettatrice. La protagonista non è altro che la chiesa di San Girolamo con la sua area monasteriale che, ancora oggi, spicca tra tutti gli altri edifici limitrofi.

Il monastero di San Girolamo sorse nella prima metà del 1400, precisamente quando un ordine minore (probabilmente degli Osservanti) giunse a Volterra nell’anno 1441.

Nell’arco di tre anni, tra riunioni e consigli contrastanti, questi frati non riuscirono a trovare una collocazione dove poter svolgere le loro funzioni (prime tra tutte vi sarà la lavorazione della vigna, riservata probabilmente ai membri della clausura). Bisogna aspettare il 21 ottobre del 1444 quando fra Girolamo Verani propose ai suoi fratelli la località del Velloso (in seguito approvata dai membri dell’ordine).

Essa era (ed è) l’attuale zona dell’ospedale psichiatrico, “lontana un quarto di miglio dalla strada” pubblica e contornata da un’area boschiva, ampiamente soleggiata e, addirittura, fornita di acqua.

Le strade che conducevano al monastero erano veloci da percorrere e si inserivano presso la strada pubblica principale con la quale si raggiungeva facilmente il centro della città. Inoltre, è importante sottolineare come la fondazione di questo monastero fu promossa direttamente dalla Sede Apostolica mediante il consenso e la volontà di papa Eugenio IV.

Di conseguenza, anche il comune di Volterra contribuì a valorizzare la fondazione e la costruzione dell’area monasteriale insieme alle sue annesse strutture come le officine e gli orti.

Non venne a mancare neanche la promozione di bonifiche nei pressi dei boschi limitrofi al plesso religioso.

“Questo luogo fu fatto piccolo e umile, di mattoni e di terra” testimoniava Dionisio Pulinari nel XVI secolo.

Alcune ricerche confermerebbero come dietro l’edificazione del monastero si aggirasse l’influente predicazione di San Bernardino da Siena, contestualizzata intorno agli anni Venti del 1400 (quindi venti anni prima rispetto alle date sopra indicate).

Ad ogni modo, la costruzione effettiva della chiesa viene indicata in un arco di tempo che va dal 1447 al 1455. Ciò lo si intuisce dai documenti comunali nei quali emergono i nomi degli addetti ai lavori.

Si annoverano i nomi degli operai Riccobaldi e Comucci così come quelli dei maestri Mariotto d’Ambrogio per lo scalpellino, Giusto di Matteo Guarduccio e Nicolaio d’Antonio Pellegrini per la realizzazione delle travi e, infine, Salvestro di Bartolomeo di Nanne di Mone e Francesco di Iacopo Ribecco per il trasporto delle pietre.

Tale struttura, con il proseguire del tempo, divenne un luogo molto frequentato sia dai canonici ma anche da laici. Ne viene fatto riferimento nella Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra, scritta da Mario Giovannelli nel 1613.

Tra gli interventi che rammentano un ennesimo contributo per la realizzazione del monastero si devono prendere in considerazione le presenze di Cosimo de Medici e dell’architetto Michelozzo di Bartolomeo (anche se, in questo caso, esistono delle correnti di pensiero che ipotizzano la mano del Ghiberti). In ogni caso, esistono sia delle iscrizioni che degli stemmi che testimoniano le intenzioni del duca fiorentino come quella rinvenuta nell’anno 1769 all’interno del gocciolatoio della chiesa stessa. Su questa iscrizione è riportata la scritta:

Coeperat haec Cosmus, qui tot monumenta per orbem exegit latij gloria quanta soli sed visum est superis sub praemia ferre me renti absolvit patrio Petrus ab ingenio anno1463 die 10 novembris (da cui, tradotto dal latino, emerge il rimando all’operato di Cosimo de Medici e del suo impegno per una politica mirata alla valorizzazione e alla costruzione di edifici sacri. L’“architetto” Pietro completò la struttura volterrana il 10 novembre dell’anno 1463 – alcuni leggono 1465).

Tuttavia, tornando al nome di Michelozzo, la ricerca storica ha dimostrato come tale architetto in realtà non progettò realmente il monastero di San Girolamo ma, al contrario, furono i due maestri Pietro da Como (di cui se ne fa nome nella fonte precedente) e Martino di Domenico.

Invece, tra gli artisti più importanti che lavorarono presso il monastero si devono citare alcuni discendenti (o membri della scuola/bottega) dei Della Robbia – probabilmente Giovanni – i quali contribuirono alla decorazione dell’edificio. In una delle cappelle della chiesa, per la precisione quella dedicata a San Michele, troviamo delle decorazioni databili intorno ai primi anni del XVI secolo (trattasi di un sistema di cappelle che ancora oggi sono situate nel loggiato edificato da Michelangelo di Nicolaio Ceccarelli).

Con la sua fondazione, in una zona periferica rispetto al centro urbano, la chiesa di San Girolamo divenne un centro religioso molto attivo nel panorama volterrano.

A confermarlo è Francesco Gonzaga, ministro generale dell’ordine dal 1579 che sosteneva come San Girolamo di Volterra fosse un luogo dove i frati potevano riunirsi comodamente in confraternita.

Basta pensare come nel 1568 presso questo monastero fosse presente il terz’ordine secolare femminile di cui, fra le suore più importanti, faceva parte anche Margherita Berna. Quest’ultima era divenuta una figura molto importante per la confraternita in quanto aveva lasciato in eredità al monastero una serie di preziosi beni.

Proprio in merito alla questione dei beni, occorre spendere due parole sulla politica e gestione dei possedimenti dei primi frati che abitarono presso il monastero di San Girolamo.

Coloro che vivevano all’interno di questo edificio erano gli “osservanti” ovvero un ordine minore che aveva abbracciato una particolare riforma ecclesiastica avviata nel 1368 e culminata nel 1517.

Tale riforma era nata con una scissione dall’ordine francescano e, a sua volta, promuoveva un ritorno alle origini ecclesiastiche, aspirando a una maggiore spiritualità (attenzione: l’ordine in questione, quindi, è quello di un gruppo di frati “minori” di origine francescana. Bisogna specificare come formalmente tale ordine degli osservanti sarebbe stato “ufficializzato” sotto il pontificato di Leone XIII alla fine del XIX secolo).

In principio questi frati, poiché membri dell’ordine dei mendicanti, abbracciarono lo stile che prevedeva l’abbandono e il rifiuto dei beni materiali, dei possedimenti e dei beni, vivendo piuttosto di elemosina e di donazioni ma anche prestando aiuto verso il prossimo. Sul

calare del ‘700, infatti, si ricorda la volontà (e la tradizione) da parte dei membri di questo monastero di accudire e soccorrere le persone in difficoltà (infermi, donne in gravidanza e malati).

Con le soppressioni napoleoniche, come nel caso nostrano della badia camaldolese, anche il monastero di San Girolamo fu oggetto di indagine ed espropriazione dei propri beni.

Da una lettera di quegli anni salta fuori il modo in cui le unità monastiche di San Girolamo avessero cercato di eludere gli ispettori filo-napoleonici direttamente con l’alterazione dell’inventario. Quest’ultimo era stato redatto all’epoca da due monaci quali Buonagrazia Cireglio e Luca Rombai:

...d’aver nascosto moltissima biancheria, e roba commestibile, nascosero degli argenti, e del denaro, non poco e perché questo non fosse ritrovato falsificarono degli scritti per fare apparire il convento in debito, ma in verità è in credito delle migliaia di lire; ora accortisi questi di niuno rimprovero, vantano la loro bravura, contra dicendo il presente governo, esortando e conisgliando i giovani a non ubbidire alle leggi, di sprezzando, e beffando la funzione fatta il 15 di agosto per il compleanno del nostro imperatore e re...

(considerando che, nel 1810, il numero di monaci presenti all’interno di San Girolamo non era per niente alto).

Anche durante il Risorgimento, il convento divenne luogo di aggregazione poiché quando Leopoldo II abbandonò il titolo di granduca di Toscana, il popolo volterrano desiderò in tutti i modi che venisse piantato un albero nel cuore della città con l’intento di festeggiare la liberazione dall’“oppressione” austriaca.

Nella prossimità del bosco situato a pochi metri dal monastero venne selezionato un leccio che sarebbe stato portato nel centro cittadino. Il tutto viene datato intorno al 26 febbraio del 1849.

...una turba di popolaccio si parte dalla città e viene al convento, chi cantando, chi urlando, chi gridando. Viva la libertà! chi bestemmiando. Entrati in convento, ed avuto bere e mangiare andarono nel bosco, ed occhiati un leccio dei più belli, quello atterrarono, e lo portarono via fino colle barbe. Giunti in piazza della città fra gli evviva del popolo, si provarono a dirigerlo, ma invano...

In realtà, in seguito alle sconfitte italiane contro le forze austriache nella primavera del ‘49, il ritorno del granduca in Toscana fu accolto con simpatia da parte del convento di San Girolamo che, a detta di alcune fonti, “si dedicò a un gran suonare delle campane”.

Il corso degli eventi, però, si presentava ai conventi italiani (e, quindi, anche a quelli volterrani) colmo di complicazioni in quanto le soppressioni sarebbero comunque arrivate in un futuro sempre più vicino.

Infatti, con il decreto regio 3036 del 7 luglio 1866 (in esecuzione della legge del 28 giugno 1866) la monarchia italiana decretò la soppressione degli ordini e delle corporazioni religiose.

Questa venne completata con la legge 3848, datata il 15 agosto 1867 la quale prevedeva la liquidazione dell’asse ecclesiastico.

Nel 1875 gli organi competenti tra Pisa e Volterra collaborarono per lo studio e la “confisca” del demanio e dei possedimenti dell’ormai ex-convento che passò nelle mani del comune. Fu proprio in questo preciso arco storico che, nel 1888, fu istituito il manicomio cittadino.

Del resto, con quella che fu la concreta chiusura del monastero, l’area circostante non fu mai realmente abbandonata ma, al contrario, continuò ad essere parte costitutiva della vita della città di Volterra. Come in una sorta di passaggio di testimone, l’area di San Girolamo passò dal “curare l’anima” con il convento a “curare la mente” con il manicomio.

Dalla cura delle anime alla cura della mente: due parole sulla storia di San Girolamo al Velloso (dal medioevo al XX secolo) – di Andrea Ribechini - le robbiane 4

Nonostante la sua chiusura, i lavori di manutenzione alla struttura religiosa non vennero realmente a mancare. Lo dimostrano gli interventi degli anni Trenta (1937) quando Italo Dal Mas restaurò La Concezione realizzata da Santi di Tito nel XVI secolo. Per dovere di cronaca è giusto precisare come anche negli anni Cinquanta del Novecento la chiesa stessa fu nuovamente soggetta a ennesimi restauri e modifiche con l’intento di farla ritornare alla sua forma primaria (furono demoliti gli altari laterali seicenteschi così come le decorazioni preesistenti).

La chiesa di San Girolamo divenne parte semi-integrante di quello che era il “panorama” manicomiale volterrano, correlato dagli edifici e dai padiglioni che, giorno dopo giorno, si innalzavano e si “riempivano di altre storie”.

Dalla cura delle anime alla cura della mente: due parole sulla storia di San Girolamo al Velloso (dal medioevo al XX secolo) – di Andrea Ribechinii 5

Quest’ultima considerazione è sicuramente quella più suggestiva e romantica in quanto un determinato luogo – come in questo caso un monastero – riesce a inscriversi all’interno di una ragnatela costituita da correlazioni che mettono in dialogo interi secoli di storia (evitando per quanto possibile ogni tipologia di anacronismo e decontestualizzazione).

Ce lo fa capire un disegno del Nannetti da cui emerge una sua personale versione stilizzata della chiesa di San Girolamo (realizzata su un supporto cartaceo).

Chiunque è passato – anche semplicemente a camminare – nell’attuale area ospedaliera non ha potuto non vedere o visitare la struttura di San Girolamo.

Dalla cura delle anime alla cura della mente: due parole sulla storia di San Girolamo al Velloso (dal medioevo al XX secolo) – San Girolamo "visto"  da NOF4. - Fernando Nannetti.
San Girolamo “visto” da NOF4 – Fernando Nannetti.

Quello che voglio condividere, dunque, è un messaggio che possa far riflettere sull’importanza dei propri patrimoni, fuggendo dalle correnti di pensiero che danno per scontato quello che vediamo tutti i giorni.

Un luogo come San Girolamo, che per i volterrani potrebbe avere un valore quotidiano (per non dire “comune”), può rivelarsi essere, invece, uno scrigno del tesoro dove poter affondare e concludere maggiori ricerche storiche (un po’ come cercò di fare Manlio Cherici – a detta di Lagorio – nell’autunno del 1939, ripercorrendo in una sorta di summa l’intera storia dell’ospedale psichiatrico).

In Nota:

  • Oggi la struttura è stata riqualificata in maniera positiva. Esso è divenuto un albergo altamente apprezzato dai turisti così come un luogo molto frequentato dalla cittadinanza. Ultimo intervento degno di nota è sicuramente quello relativo alla riapertura al pubblico dell’orto annesso alla chiesa il quale era rimasto chiuso per tantissimo tempo. L’inaugurazione è avvenuta il 16 luglio del 2024.
  • Tra le letture consigliate e sicuramente più approfondite si veda quella di P. Ircani Menichini, La chiesa e il convento di San Girolamo di Volterra (1445-1992), Volterra, Accademia dei Sepolti, 2017 di cui raccomando un’attenta lettura.

Andrea Ribechini

Dalla cura delle anime alla cura della mente: due parole sulla storia di San Girolamo al Velloso (dal medioevo al XX secolo) – di Andrea Ribechini