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l’evaso dal manicomio criminale alleato del figlio dell’editore

Movimentata cattura in una trattoria di due ladri d’automobili e contrabbandieri di sigarette

L’evaso dal manicomio criminale alleato del figlio dell’editore
  • Data di pubblicazione:
    5 Agosto 1950
  • Testata giornalistica:
    CORRIERE DELLA SERA

Nelle prime ore del pomeriggio di ieri due uomini vestiti con una certa pretesa d’eleganza stavano consumando un buon pranzetto a un tavolo di un ristorante di Via Vigevano.

I due commensali parevano d’ottimo umore.

Di tanto in tanto lasciavano riposare forchette e mandibole per chiacchierare e ridere.

Il pranzo era verso la fine, quando sono entrati nel locale due personaggi: uno piccolo, magro, nervoso; l’altro alto e robusto.

Erano il commissario Nardone della Squadra mobile e il suo aiutante, brigadiere Massone.

Stava per concludersi un’importante operazione di polizia, ordinata dal dirigente della “Mobile” stessa, Dott. Greco.

Il funzionarlo e Il sottufficiale, attraversata la sala, piombavano alle spalle dei due allegri commensali.

Un attimo dopo, fra la sorpresa dei presenti alla scena, risuonava il tradizionale:

«Mani in alto! Siete in arresto!».

Il più anziano del due individui cui era rivolta l’intimazione scattava e cercava di infilare una mano in tasca.

Ma veniva rapidamente immobilizzato.

L’altro, sorpreso, non accennava nemmeno, a reagire.

Un quarto d’ora dopo i due arrestati erano in Questura.

Si trattava del romano Umberto Mancini di Cesare, di trentasette anni e di Gian Battista Moriggia di Giuseppe, di 24 anni.

La storia di questa pericolosa coppia di malfattori è cominciata nel dicembre dell’anno scorso.

In quei giorni, Il Mancini riusciva a scappare dal manicomio giudiziario di Volterra.

Con molta facilità, l’evaso entrò in contatto con altri malviventi e si specializzò nel furti d’automoblli.

Poiché sapeva d’essere ricercato, prese un nome «d’arte»: Pietro Fantini.

Il Mancini-Fantini si legò d’amicizia col Moriggia.

Insieme operarono per qualche tempo a Genova, poi si trasferirono a Milano.

La loro presenza non sfuggì al dirigente la [della N.D:R] Squadra mobile che mise in caccia il commissario Nardone e i suoi uomini.

Il giovanissimo Moriggia, per meglio mascherare la sua attività, ebbe l’impudenza di farsi passare per figlio d’un noto editore.

Il Moriggia viaggiava a bordo di un’elegante automobile.

La macchina, naturalmente di provenienza furtiva, recava qualche volta la targa MI-70386 e altre volte quella MI-105339.

Il libretto di circolazione era stato falsificato.

Il Moriggia s’accingeva a presentarsi agli esami per conseguire la gulda, con documenti, naturalmente contraffatti, intestati al figlio dell’editore.

Recentemente, i due compari avevano pensato di dedicarsi al contrabbando delle sigarette.

E già erano riusciti a collocarne un piccolo «stock».

L’intervento della polizia ha troncato le avventure del Moriggia e del Mancini.

Quest’ultimo aveva proclamato a più riprese, che non si sarebbe lasciato «prendere vivo».

Portava sempre con sé un coltello a serramanico.

«Se qualcuno s’azzarda a toccarmi – diceva – lo infilzo»

Ma nessuna arma è stata trovata nelle tasche del Mancini.

l’evaso dal manicomio criminale alleato del figlio dell’editore