Esperienza tutta novecentesca, il frenocomio – poi ospedale psichiatrico – di San Girolamo di Volterra è squisitamente connotato dalla terapia del lavoro: al suo interno si coltivava, si fabbricava, si produceva.
Le officine, però, rappresentano anche una metafora: accaparrarsi fette sempre più importanti di un incredibile mercato, quello dei soggetti in esubero dei vari manicomi italiani.
Mantenere alto il numero dei degenti era, infatti, una paradossale finalità della logica manicomiale del tempo.
La ricerca si dipana attraverso un itinerario che interseca il profilo istituzionale con i modelli culturali che hanno legittimato aspetti e momenti importanti della vita dell’istituto: l’opera e le idee del direttore Luigi Scabia, la sua impresa «coloniale» in Libia, le nevrosi di guerra dei tanti soldati traumatizzati dal primo conflitto mondiale, le terapie da shock, la gestione dei «folli prosciolti» della sezione giudiziaria.
La complessa e originale vicenda della dismissione dell’istituto ci spinge infine a un confronto con i valori della nostra umanità, mentre sullo sfondo resta il confine forte, anche se più sottile di altre realtà, tra la comunità e il suo manicomio.